venerdì 26 ottobre 2012

LÍTOST

Milan Kundera, nel suo bellissimo "Il libro del riso e dell'oblio", definisce la Lítost come una parola ceca intraducibile in altre lingue e che descrive come "uno stato doloroso suscitato dallo spettacolo della nostra miseria, scoperta all'improvviso".


Sebbene io non trovi una parola corrispondente in italiano, credo di conoscere il sentimento, vediamo. Se Kundera intende una pena di sé, un rimpianto straziante ma bello come la saudade brasiliana, una sensazione dolorosa ma necessaria, una ferita marrone, come d'autunno, e tutta striata di graffi invisibili, un pianto segreto celato dietro un volto qualsiasi, la ricerca disperata di un oblio altrui, se questo intende Kundera, allora io la lítost la so. Così tanto che proprio ora, e qui, la sto provando. 

lunedì 21 maggio 2012

LORO ED IO

Ci sono molte cose che mi stupiscono; succede tutti i momenti, in realtà. E sto lì a guardarle, con questi occhi da bambino ed uno stupore schietto, nudo. Aspetto di trovare la chiave di lettura, che forse c'è, tra le grinze della vita. E così.

E così ora, per esempio, proprio in questo istante qui, a casa mia, Keith Jarrett suona il suo concerto di Köln. Finisce il primo quarto (che poi sarebbe un terzo), di sublime, celeste improvvisazione e quando l'ultima nota smette di riverberare la gente, il sedicente pubblico, anziché rimanere attonita e muta e piangente come si può essere, ad esempio, davanti ad un'opera straziante come la Guernica, o davanti ad un tramonto di luna alle cascate di Iguaçù, la gente che fa? Applaude. Applaude, ma poco, uno scroscio piccolo, quasi d'obbligo. Va bene, sono quasi tutti tedeschi. Va bene, per amare bisogna conoscere, capire. Ma quest'uomo è un genio assoluto ed ha appena eseguito un'opera di livello immenso. Come se venisse Beethoven oggi a dirigere, metti, all'Auditorium, la sua quarta sinfonia. Che fa, il pubblico, applaude? O piange?

E così io mi devo stupire per forza, d'uno stupore coatto e immoto e guardo, dio se guardo, e ascolto, ma non riesco a concepire niente perché tra l'altro è iniziato il secondo quarto (che poi sarebbe un altro terzo) e non lo posso mica perdere solo perché un manipolo di ottusi teutonici non ha capito.

E così mi pare tutta la mia vita, finora, loro che fanno cose a me incomprensibili e io che mi stupisco, senza capire.

venerdì 6 aprile 2012

BACI DAL SOLE

Oggi mangerò un gustoso panino (se non due) seduto su una disgustosa panchina (se non mezza) al sole.

"Come l'altra volta" - mi dirai. 

Se tu ci fossi ti bacerei ininterrottamente, fino al limite possibile (se c'è). Ma siccome non ci sarai, mi lascerò invece baciare dal sole, che è quasi la stessa cosa, se vogliamo, ma tu sei più bella e più luminosa e quando mi baci tu, fa più caldo. 

lunedì 2 aprile 2012

LA RESA D'OMBRELLO

Cioè di quella volta che resi l'ombrello alla sua legittima proprietaria, che l'aveva dimenticato nella mia automobile di proposito, come metafora emotiva a significare che, con me, non aveva bisogno di protezione, non perché si sentisse serena e fiduciosa, ma perché, sempre con me, semplicemente voleva sentirsi vulnerabile, amandomi.

No non è vero, mi sarebbe piaciuto, ma... lei aveva proprio dimenticato l'ombrello e basta, senza simbolismi, lasciandomi all'improvviso in mezzo alla strada durante una passeggiata pomeridiana, adducendo una scusa incontrovertibile. Ma questa è un'altra storia e si racconterà forse un'altra volta.

Non pensavo fosse così lontana, la sua casa. Lontana geograficamente ma non solo; aveva quell'aria, sai, distaccata, come repellente, che hanno le case altrui quando c'è qualcuno dentro. Come fortezze, sai, come castelli, di spunzoni e vetri rotti, di recinti e coccodrilli nel fossato. Quell'aria che perdono subito quando gli inquilini escono, per lasciare il posto ad un'altra aria, più accomodante. Sul campanello un'altra tristezza mi aspettava: i loro cognomi scritti e appiccicati, messi lì a bella posta per mostrarli a tutti, come pubblicati, sai, come proclamati. A dire: vade retro, straniero, questa è la nostra famiglia. Poi proprio quei due nomi, che messi insieme stanno malissimo, sai, uno ci si strozza a dirli, uno gli viene un colpo di tosse e va a finire che poi sputa in terra, come un vecchio barbone, spu', che nomi ma che nomi! E' un fatto di armonia e dissonanza, comincia dai nomi e poi si propaga nella coppia, funziona così; come potevano finire Antonio e Cleopatra, o Giulietta e Romeo, se non amandosi?

Be' io stavo lì, qualcuno mi poteva pure vedere, per questo avevo un po' d'apprensione, ma andava fatto per forza, allora dai, turarsi il naso e sploc, mettere l'ombrello nella cassetta delle lettere, quella coi nomi stridenti, guardare giusto un attimo le scalette difficili per il piccolo e poi basta, andare via andare via, circolare.

Poi, dopo due o tre curve, in mezzo a una strada stretta di vigneti e terra, sotto ai lampi della mia propria tristezza nera, ho pianto.


venerdì 30 marzo 2012

LA VITA E' UN "PURE CHE"

La sua presenza è come una luce, non so come dire. Indefinibile, eppure evidente, palese perfino, in grado di cambiare la realtà, anzi di essere una delle incarnazioni della realtà, capace di impostare un punto esatto nel piano del tempo, con un prima e un dopo, ma senza alcuna transizione tra gli estremi, un passaggio netto senza scriminatura: prima buio poi luce poi di nuovo buio. Io ora mi trovo di qua.

Stare di qua è come stare sul fondo di un pozzo, non so come dire. "Pure che" ci si può vivere, si sta scomodi. Non ricordo nemmeno come è successo che sono caduto qui, in fondo al pozzo, che ha segnate tutte le tacche a dire quanti metri mi trovo sotto il livello del mare. Sì, io ho bisogno di misurare tutte le cose, le distanze, i pesi, i tempi, i sentimenti. Ho sempre fatto così, devo sapere il quantitativo per poter riporre le cose (la loro idea) nel posto loro spettante, lì messe ordinatamente nelle loro scatole stagne, ignifughe, bianche. E' più che una mera contabilità emotiva, è l'immane bisogno di capire, per poter amare.

Amare è conoscere, non so come dire. Un dualismo inscindibile, come lo spazio-tempo, due concetti talmente vicini da essere intercambiabili, pur restando distinti. Amare-conoscere, che altro dovremmo fare nella vita se non questo?

"Pure che"; così diceva lei per dire "malgrado". E' un'espressione bellissima, nella sua semplicità, suona bene, mi porta dal fondo del pozzo su su fino all'onomatomania, mi libera, finalmente e così torno a sorridere. Dodici sorrisi, per l'esattezza.

mercoledì 28 marzo 2012