Mattina presto, in un'altra casa e in un'altra città, il figlio si alza, si lava i denti, fa colazione con una tazza di latte freddo e doppio caffè forte, fa gli addominali, si rade, poi una doccia veloce e si veste perché deve andare al lavoro, chiude la porta di casa e sale in macchina.
Il padre buongiorno un cornetto consuma paga sale di nuovo in macchina per tornare a casa ma all'incrocio ha un malore il cuore salta un turno e passa un camion rosso grande e veloce e di ferro rosso grande veloce e insensibile ai turni dei cuori procede prende in pieno la piccola macchina nera da niente che gira su se stessa e i vetri infranti e il corpo infranto e sirene polizia ambulanza elicottero ospedale rianimazione rianimazione, rianimazione.
Il figlio nel mezzo di una riunione di lavoro di estranei di niente insolitamente riceve una telefonata di sua sorella, Papà cuore turno camion ferro rosso incidente Cristosanto ma è grave? Sì vieni subito ma non correre, però.
Non corre.
L'ospedale è a due ore d'auto andando senza correre, andando nell'unico modo possibile incontro al destino, il destino di tutti così intricato che non ci puoi far proprio niente, l'ospedale è a due ore d'auto ed è grande ed è stato costruito sopra un bel colle che guarda i mille verdi della Tuscia, l'ospedale sul colle lo sa lui, ci pensa lui ad aggiustare i corpi infranti dai camion rossi di ferro, vero? Sulla ringhiera scrostata che porta al pronto soccorso, dei ragnetti arancioni corrono secondo una logica loro, cioè evitando sempre le macchie di ruggine e quando due di loro, percorrendo la stessa direzione ma in versi opposti, s'incontrano, se le danno giù di santa ragione e secondo un protocollo forse basato sul rango decidono chi passerà a destra e chi a sinistra. Un vento millenario con un battito di ciglia solleva appena un rametto che oscilla, una foglia cade senza rumore, il figlio arriva. Il figlio sono io. La data è oggi.
Mia sorella mi aspetta all'ingresso del pronto soccorso, è seria ma non affranta, Vieni - mi fa - è nella 26D. Non è affranta, stanza 26D: così tenue s'illumina nel mio cuore un lumino minuscolo di speranza, dell'intensità, tanto per dire, di un cerino pallido e storto esposto ai venti del nord. Il personale di turno non mi dice nulla, non mi guarda nemmeno, seguendo mia sorella io entro nella piccola stanza 26D, Ecco - mi fa senza dire altro e guardando in terra, così guardo e a ridosso del muro c'era una barella piccola da ospedale, di metallo e con le ruote e tutto quanto la rendeva riconoscibile come una barella e sopra c'era un lenzuolo bianco, quasi bello, a coprire una forma con tutto quanto necessario per renderla riconoscibile quale una forma umana, e infatti, infatti sotto al lenzuolo c'era questo essere umano, il mio unico padre, e con una crosta di sangue rappreso sul naso e la testa un po' girata verso il muro come per un ultimo pudore di non guardarlo e il mio cerino storto s'è spento e il respiro anche a cercarlo bene era proprio assente dal suo corpo e forse anche dal mio, tanto che sono rimasti increduli i cuori, tutti e tre i cuori, che erano i seguenti:
Il cuore numero uno) Era il suo, incredulo per essersi fermato dopo la radicata abitudine d'aver battuto per tanto tempo, dopo tutte le avventure passate insieme al resto del corpo, come quella volta che, durante la guerra, mio padre marinaio imbarcato su una fregata italiana e sotto il fuoco aereo amico, naufragò in acque scure e dicembrine e, per non morire di freddo nuotò e nuotò per otto ore di fila e fu infine salvato da un'altra nave, tirato su in condizioni incredibilmente perfette tanto da meritare una licenza premio. Quella volta, di tutto l'equipaggio si salvarono solo in otto.
Il cuore numero due) Era quello bluastro rozzamente tatuato sul suo braccio sinistro e con sotto due lettere puntate: E.L. corrispondenti alle iniziali di un amore lontanissimo, Elsa Landi, cantante. Cara Elsa, muore oggi l'ultimo dei tuoi ammiratori.
Ciao papà, non te la prendere, cadono a volte le foglie senza fare nessun rumore.