venerdì 21 giugno 2013

CASOMAI

Da piccolo io, quand'ero piccolo, io da piccolo, bambo che ero, mi nutrivo di parole. Io le parole le parole io, le cercavo, le imparavo, le parole mi piacevano prima di tutto per il suono, che è la cosa più importante, in una parola: fonemi incollati dal caso o dalla storia o entrambi. Come può scrivere, un sordo?

Dopo il suono, poi dopo, viene l'armonia nell'alternanza delle lettere, se stanno bene così accoste, se sono assonanti o dissonanti, colorate o coloranti, usate o quasi nuove, fruste o vellutate eccetera - l'eccetera però è un'imperdonabile indolenza letteraria, uno schiaffo culturale, l'eccetera è volgare - le lettere, fruste o vellutate o volgari o eccelse, le lettere basse e alte, con grazie e prego lettere al vetro macchiate calde. Zucchero?

Per ultimo, ma di poco conto, viene il significato. Fonoestetica e fonosemantica, io da piccolo. Da piccolo io prendevo una parola dal vocabolario e la ripetevo mille e mille volte, usandola in contesti anche impropri, fino a mandarla in quella parte del cervello che non è più molle ma è roccia dura calcarea (non dire anima, resisti), per non dimenticarla più. Gli altri si stufavano, ma tant'è, erano altri. Una volta che un gruppetto di noi giovinastri, con me incluso, giocava in piazzetta facendo troppo baccano, una signora pacchiana e opulenta si affacciò alla finestra per intimarci di smettere o di fare meno rumore, allora io la guardai dal basso e ritto in piedi e rigido in piedi e i pugni stretti e in piedi nella mia bassezza e pieno di rancore, dal basso le gridai quella che doveva essere contemporaneamente la parola del giorno e la massima insolenza possibile: CASOMAI!  

Parole: evitare l'uso improprio o eccessivo.

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